Una volta qui era tutta campagna

Tutta la vita di una persona è fondamentalmente divisibile in due fasi: la fase in cui ti senti dire, soprattutto dalle persone più grandi di te, “era meglio ai miei tempi!” e la fase in cui inizi a dirlo tu.

Niente e nessuno sfugge a questa legge, neanche chi scrive, ahimè.

Né le persone, né le mode, come la musica (che schifo quei Maraschìn a petto nudo e con lo smalto, ai miei tempi c’era Fausto Leali!), o come la politica (Berlinguer o Almirante non sarebbero mai andati da Barbara D’Urso!), o come lo sport (ah, il calcio di una volta, con il retropassaggio al portiere!), né qualsiasi altra cosa.

Diciamoci onestamente, però, che per poter paragonare due cose prima di tutto devono essere paragonabili. E secondo me ci sono cose che sono cambiate così tanto da essere imparagonabili.

Prendiamo ad esempio la musica (ne ho parlato in modo più approfondito qui): la fruizione della musica è notevolmente cambiata con il passare degli anni.

Dai tempi in cui c’erano solo due modi per ascoltare una canzone, a casa (alla radio o nei mangiadischi) o dal vivo (ma i concerti in Italia erano rari e tutti sempre nei soliti posti), poi piano piano è aumentata la “portabilità” della musica, passando per il walkman fino ad arrivare ai lettori mp3 attuali.

O ai cellulari, che sono dei veri e propri computer portatili. Il computer di bordo dell’Apollo 11, tanto per fare un esempio, che nel 1969 permise al LEM di atterrare sulla Luna, aveva una memoria cinquecentomila volte minore del cellulare che state usando per leggere questo testo. E un processore centomila volte meno potente.

Quindi chiaramente la musica è cambiata (non peggiorata, cambiata), perché mentre prima potevi ascoltarla seduto sul divano di casa, con un bel paio di cuffie, adesso hai degli auricolari e ascolti la musica mentre prendi il treno, la metro o mentre fai le faccende di casa.

E la musica si è adeguata a questo, proponendo volumi più alti, meno pause e meno “respiri”, come spiegavo nella serie di articoli che ho scritto sull’argomento.

Karl Martin Sandberg, Max Martin, Stargate, Dr. Luke ed Ester Dean (chi? sappiate che questi tizi sono responsabili di più successi discografici di Phil Spector, Michael Jackson e dei Beatles messi insieme) hanno modificato il modo di fruire della musica.

Uno di loro una volta disse:

“Al giorno d’oggi servono strofe sensazionali ogni sette secondi (la lunghezza media di tempo che l’ascoltatore concede alla stazione radio prima di cambiare frequenza); non basta più avere solo un ritornello, servono strofe sensazionali, ritornelli da ricordare e bridge da canticchiare.”

Quindi se proprio non riuscite a farvi scendere giù i Måneskin, sappiate che, rispetto alla musica attuale (quella prodotta e inventata dai succitati, nda), fanno ottima musica. Negli anni Settanta non sarebbero usciti dal garage, se paragonati ai gruppi di allora, ma questa è un’altra storia.

Così com’è cambiata la musica, sono cambiati un sacco di aspetti della vita “sociale” degli italiani. E non mi riferisco solo ai “social media”, di cui parlerò dopo.

Quino, pseudonimo di Joaquín Salvador Lavado Tejón (1932-2020), è stato un fumettista argentino, famoso per quelli della mia generazione per la striscia “Mafalda”.

“Mafalda: ha sei anni e odia la minestra. Si comporta come ogni bambina della sua età, ma ha anche uno sguardo acuto e indagatore sul mondo e sulla vita. Si interessa dei problemi del mondo, come la guerra del Vietnam, la fame o il razzismo. Quando chiede spiegazioni agli adulti, le sue domande sono sempre dirette e disarmanti, fino a provocare in loro crisi di nervi”.

Quelli di noi che l’hanno letta, non l’hanno potuta non amare. In una vignetta di quarant’anni fa, Mafalda parlava del giornalismo:

“I giornali parlano sempre più dell’inquinamento dell’aria”, esordisce Mafalda. E la sua amica Libertad risponde: “I giornali! I giornali inventano la metà di quel che dicono! E se a questo sommiamo che non dicono la metà di quel che succede, il risultato è che i giornali non esistono!”.

Questa vignetta è indicativa perché dice che la percezione che i giornali omettano o inventino notizie non è recente, né prettamente italiana.

In Italia, però, non è mai esistita la divisione tra i cosiddetti “tabloid” e la stampa di qualità come in Inghilterra, e le conseguenze le stiamo vedendo adesso.

Supponendo che uno voglia fare il giornalista, che percorso deve fare?

Come per tutti i lavori, pare sia obbligatorio fare gli “stage” (stage, letto così com’è scritto, alla francese, e non “steig”, all’inglese, che vuol dire palcoscenico), periodo in cui non si è retribuiti (o lo si è molto poco).

Nelle redazioni, manco fosse la scena di un film di Virzì, si spingono questi stagisti a realizzare risultati per la famosa “colonna di destra”, in cui compaiono le notizie più strane.

Perché un quotidiano che tratta cronaca e politica debba avere l’oroscopo o le notizie strane prese dal web, resta un mistero.

Questa “tabloidizzazione” dei quotidiani è iniziata da tempo, e sembra che ormai sia un processo irreversibile.

Perché un giornalista sportivo debba chiedere ad un calciatore impegnato nell’Europeo “come hai passato le notti magiche del Mondiale ’90?” invece di parlare di tattica o di calcio giocato, per me resta un mistero.

Il fatto che poi quel calciatore sia nato nel ’97 (sette anni dopo quel Mondiale) e che stesse disputando un Europeo e non un Mondiale fa capire le proporzioni del dramma. E l’autrice della domanda è anche una delle giornaliste migliori del lotto… figurati gli altri…

La crisi economica che ha sta attraversando l’editoria classica, quella della carta stampata, ha peggiorato le dinamiche del mercato dell’informazione.

Oramai l’obiettivo è la ricerca del click, della visualizzazione, e le statistiche decidono quali sono i contenuti validi e quelli da scartare. I tentativi di attirare lettori con contenuti che rasentano il clickbait diventano sempre più ridicoli.

State sicuri, le notizie provenienti dall’estero che dai noi sono in prima pagina, nel paese da cui provengono sono un trafiletto a pagina 26.

A indebolire e affossare definitivamente la credibilità del giornalismo italiano, è innanzitutto il suo rapporto col potere.

Santiago Greco, giornalista argentino che vive nel nostro paese, afferma:

“In Italia, quando un uomo con la penna incontra un potente, l’uomo con la penna è un uomo morto – e non per finta. Le poche volte in cui un giornalista fa bene il suo lavoro, rischia infatti di finire nei guai: non a caso sono proprio le minacce di morte per inchieste su corruzione e mafia che hanno portato l’Italia al 77° posto nella classifica sulla libertà di stampa. D’altra parte, se un giornalista non fa bene il suo lavoro… Be’, può anche arrivare in alto ed entrare a far parte dell’élite culturale del paese.”

Questa ricerca spasmodica del click ha prodotto “mostri”, soprattutto grazie al fatto che sui social possono scrivere tutti.

E Twitter è l’esempio più calzante per quello che voglio dire.

Intanto chiariamo, Twitter rispetto a Facebook ha una struttura di tipo completamente differente: non ci sono amicizie da accettare o contraccambiare, tutti i post sono liberamente leggibili da chiunque, a meno che tu non sia stato bloccato dall’autore dello stesso.

Ognuno si crea la cosiddetta “Time Line” personalizzata, con i contenuti che vuole e il fatto di non doversi seguire a vicenda fa sì che ognuno veda una cosa differente da un altro.

Il problema è che ci sono argomenti che veicolano più click di altri. Le famose tre “S”, sicuramente. No, non intendo “Successo, Salute e Serenità”, ma “Sesso, Sangue e Soldi”. In più, ci aggiungiamo gli “anti-qualcosa”.

Anzi, ci sono argomenti che vanno “in tendenza” (nel senso che sono tra i più cliccati) in pochissimo tempo, proprio perché sono “ANTI”.

Di esempi ne potrei fare tanti, ma visto che da qualche anno scrivo e parlo di Juventus, che è tra le squadre con il maggior numero di sostenitori al mondo, contando oltre 250 milioni di simpatizzanti, di cui oltre 14 milioni in Italia (fonte Sport+Markt AG 2012), è chiaramente un argomento che conosco più di altri.

Scrivere su Twitter una frase che comprenda la parola Juve, garantisce una base di click assicurati. Di esempi ne potrei fare a centinaia, di notizie in cui la Juventus non c’entrava nulla, ma veniva citata lo stesso.

Proprio ieri, ho letto la seguente frase:

La Juventus, in questa notizia, non c’entra nulla, perché la notizia vera è questa:

“La Commissione Disciplinare della FIFA ha sanzionato lo Spezia per infrazioni relative al trasferimento internazionale e al tesseramento di calciatori di età inferiore ai 18 anni. Lo stesso organismo ha disposto come sanzione, lo stop al mercato per due anni alla società ligure, che quindi non potrà registrare alcun nuovo giocatore per le prossime quattro sessioni.”

E il problema è che a veicolare queste notizie “anti” non sono i cosiddetti “leoni da tastiera”, altro fenomeno sicuramente da arginare, ma gente iscritta all’ordine dei giornalisti.

Esistono “professionisti” che basano il 90% dei propri tweet sul parlar male di qualcuno. E sono giornalisti iscritti all’ordine, tanto quanto quelli che, invece, prima di scrivere una notizia, a costo di pubblicarla in ritardo, controllano le fonti, la veridicità e l’attendibilità della notizia stessa.

E vi sono “non giornalisti” (come il mio amico Giovanni) che pubblicano contenuti migliori e più approfonditi di questi pseudogiornalisti, a volte.

Marco Tedeschini Lalli, giornalista, consulente di editoria digitale e docente di giornalismo digitale, una volta ha detto:

“i social media sono semplicemente la vita e il contesto digitale non è una cosa parallela alla società, ma la società stessa.

Quindi la cosa è forse più importante di quel che sembra.

Come se ne esce? Non lo so, non sono medico, quindi non saprei dare una diagnosi. Ma i sintomi sono ben visibili a tutti.

E pensare che una volta qui era tutta campagna…

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9 pensieri riguardo “Una volta qui era tutta campagna

  1. “Oramai l’obiettivo è la ricerca del click, della visualizzazione, e le statistiche decidono quali sono i contenuti validi e quelli da scartare. I tentativi di attirare lettori con contenuti che rasentano il clickbait diventano sempre più ridicoli.”
    Sì, appunto per questo, quando vedo che “Il Messaggero”, o altri giornali on line, espongono dei titoli strani, catastrofici o molto curiosi, ho preso l’abitudine di consultare i giornali stranieri per vedere che cosa si dice in quei luoghi. Per mia fortuna, oltre all’italiano e a qualche dialetto, parlo anche francese, inglese, tedesco e comprendo lo spagnolo. Ho notato che la corsa al “click” diviene sempre più spasmodica da parte delle testate giornalistiche: un’altra bella fregatura che riguarda l’informazione, sempre meno onesta e sempre più priva di preparazione culturale.

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