Se famo du spaghi

Si sente sempre più spesso parlare di “alimenti bio”, dove per agricoltura biologica si intende un tipo di agricoltura che sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, che vuole promuovere la biodiversità delle specie domestiche e che esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati.

Ma siamo sicuri che sia così? E che cos’è il biologico? Una moda, un lusso per pochi, una fissazione di alcuni o una certificazione di qualità che tutti dovremmo ricercare nei nostri acquisti?

Ho parlato recentemente di alimentazione in “La verità, vi spiego, sulla pasta“, spiegando come la qualità del grano incida notevolmente sul prodotto finale e come in altri luoghi del mondo l’utilizzo di pesticidi possa causare problemi alla salute.

In questo articolo proverò a capire se il cibo biologico è quello che dice di essere o se ci sia qualcosa “dietro”.

Intanto, cosa mettiamo realmente nel piatto quando mangiamo cibo considerato più naturale? E, soprattutto, perché il biologico ha prezzi ancora molto elevati rispetto al cibo “tradizionale”?

Intanto vediamo la produzione: un ettaro coltivato a grano con metodo biologico rende la metà rispetto a un ettaro di grano in agricoltura integrata. Questo significa che per produrre la stessa quantità di grano bio dovremmo occupare più terra e mettere in conto un aumento di emissioni nocive (derivanti dall’uso di macchine agricole su una superficie più estesa e dal dissodamento di una quantità maggiore di suolo), la distruzione della biodiversità e la sottrazione di nuove terre a foreste e praterie.

L’ideologia del bio (-logico o -dinamico) si riferisce all’attività che è biologica per eccellenza e cioè l’agricoltura, pretendendo di riportarla ad una purezza primigenia che poi sarebbero le tecniche in uso prima della rivoluzione scientifica dell’ottocento (per il biologico) o una congerie di procedure a base magica (il biodinamico).

Il danno è soprattutto culturale ed è enorme in quanto chi fa bio non si accontenta di sfruttare le nicchie di mercato che sarebbero il loro naturale punto d’approdo ma al contrario propone una vera e propria dittatura che imponga all’intera agricoltura mondiale il proprio punto di vista, rifiutando quel bagaglio di innovazioni che è stato alla base della rivoluzione che oggi ci consente di nutrire il mondo più e meglio di quanto si sia mai fatto in passato (la percentuale della popolazione mondiale al di sotto della soglia di sicurezza alimentare è scesa dal 50% del 1945 al 10% odierno).

Peraltro quello del bio è un “tormentone” che ci viene continuamente propinato da tutti i grandi media, dai quali il bio ci arriva condito da slogan di salvataggio del pianeta, lotta ai cambiamenti climatici, cibo puro, sostenibilità, cibo più gustoso, ecc. ecc.

Ma è vero? Vediamolo.

  • Il biologico non usa pesticidi: falso, nel senso che usa pesticidi di vecchia generazione (es: solfato di rame che persiste nel terreno per tempi indefiniti, insetticidi dannosi per la flora acquatica e la microflora del terreno).
  • Il biologico vuol bene alla natura: vediamo cosa c’è scritto sull’etichetta di alcuni pesticidi usati nell’agricoltura biologica: nei formulati insetticidi a base di Spinosad e Azaridactina si legge “Altamente tossici per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.” (il secondo poi è un perturbatore endocrino). La “poltiglia bordolese”, fungicida a base di rame, poi è: “nociva se inalata, provoca gravi lesioni oculari, molto tossica per lunga durata per gli organismi acquatici”.
  • Il biologico vuol bene alle piante: è falso perché usando prodotti fitosanitari antiquati non le si difende adeguatamente dai nemici (sarebbe come se contro malattie umane terribili – polmonite, peste, vaiolo, colera, sifilide, ecc. – si rinunciasse all’uso degli antibiotici rinnegando le regole più elementari della nutrizione vegetale si affamano le piante negando loro il necessario apporto di nutrienti.
  • Il biologico fa bene al consumatore: sul piano della salubrità non si dovrebbero mai scordare i 54 morti e i 10 mila ricoveri in ospedale avvenuti i Germania e Francia nel 2011 a seguito di consumo di germogli di fieno greco prodotti da una azienda biologica tedesca e che contenevano tossine prodotte dal ceppo O104 di E. coli (Frank etal, 2011). Sempre sul piano della salubrità si ricorda l’articolo “Non crediamo in bio – La frutta e la verdura in commercio non sono più ricche di nutrienti né più salutari di quelle tradizionali. Ecco le prove.” uscito tempo fa su Altroconsumo (Freshplaza, 2015). In tale lavoro si ponevano a confronto alimenti bio con alimenti convenzionali mostrando la sostanziale equivalenza in termini di salubrità (salvo che per contenuto in nitrati per il quale i prodotti bio erano peggio rispetto ai convenzionali). Sul piano economico si rimanda invece al punto successivo.
  • Il biologico è sostenibile sul piano economico: per l’imprenditore agricolo può esserlo a patto di trovare “amatori” in grado di spendere il doppio o il triplo per lo stesso identico prodotto, visto che la produttività del bio è molto più bassa e i costi di produzione più elevati (basti pensare che il diserbo a mano di 1 ettaro di risaia comporta 450 ore di lavoro l‘anno contro meno di 10 ore l’anno richieste dal diserbo chimico).
  • Il biologico è sostenibile sul piano ambientale: è falso poiché se con una decisione sciagurata si decidesse di elevare tali agricolture a uniche agricolture a livello mondiale il risultato sarebbe che si dovrebbero raddoppiare le terre coltivate con effetti ambientali catastrofici (addio boschi e praterie). Siamo infatti parlando di una tecnologia che produce se va bene il 50% in meno di quella convenzionale, per cui i conti sulle necessità di suolo sono presto fatti.
  • Il biologico combatte i cambiamenti climatici: è falso. Se si fosse tradotto in legge il sogno di tutti i seguaci del bio e cioè quello di fermare le tecnologie in agricoltura a quelle in uso negli anni ‘60, per soddisfare l’aumento di domanda indotto dal passaggio dai 3 miliardi di abitanti del pianeta del 1960 agli oltre 7 miliardi odierni gli arativi sarebbero dovuti passare dagli 1,5 miliardi di ettari attuali a 3,2 miliardi di ettari e le emissioni annue del settore agricolo sarebbero salite dagli 1,4 miliardi di tonnellate di carbonio attuali a ben 6 miliardi, secondo stime effettuate da Burney et al. (2010).
  • Il biologico è naturale perché valorizza le varietà antiche: le varietà antiche sono le uniche in grado di essere gestite con le tecnologie antidiluviane adottate in ambito Bio. Se tali tecnologie fossero applicate a varietà moderne (più esigenti in termini di nutrizione, irrigazione e difesa) il risultato sarebbe il fallimento completo delle colture.

L’agricoltura è l’attività biologica per eccellenza in quanto sfrutta la fotosintesi per produrre cibo e altri beni di consumo; in agricoltura non importa come produci ma importa che alla fine il tuo prodotto risponda ai requisiti qualitativi previsti dalle normative vigenti. Da questo punto di vista è eticamente scorretto indicare i prodotti biologici come prodotti più sicuri in quanto la sicurezza è una cosa seria.

Il biologico parrebbe un cibo sano, pulito, salutare, sul quale tutti sono d’accordo. Eppure, proprio nel momento in cui si dovrebbe arrivare a una definizione più precisa e alla messa a punto di regole e tecniche, c’è chi si oppone e sostiene che i prodotti “organici” siano pericolosi.

La legge dichiara invece che la produzione biologica è attività di interesse nazionale con funzione sociale e ambientale in quanto settore economico basato prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e sulla salvaguardia della biodiversità, che concorre alla tutela della salute e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra.

Non tutti sono d’accordo.

“E’ un disegno di legge che promuove un metodo a discapito di un altro, scoraggia la ricerca scientifica, finanzia corsi che andrebbero a promuovere un marchio sostanzialmente privato come quello biodinamico che fa uso anche di pratiche esoteriche. In compenso l’Italia rimane un Paese dove è vietato non solo all’imprenditore agricolo di coltivare piante Ogm, ma perfino ai ricercatori pubblici di sperimentare in campo aperto piante geneticamente migliorate”, dice Deborah Piovan, imprenditrice agricola, una dei 400 firmatari di un documento che è stato inviato al Senato in vista della ripresa della discussione del disegno di legge in Commissione.

Di parere critico rispetto alla legge è anche Elena Cattaneo, farmacologa, biologa e senatrice, che ha condotto numerose campagne contro il biologico. In numerosi articoli ha sostenuto che i campi coltivati a biologico possono inquinare il terreno con un metallo pesante, il rame, più tossico del glifosato, il diserbante prodotto dalla Monsanto e ora da Bayer. Non solo è l’erbicida più usato in tutto il mondo, ma è noto alle cronache per numerosi articoli e istituzioni scientifiche, per esempio lo “Iarc”, acronimo di “International Agency for Research on Cancer”, ossia  l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, che lo hanno accusato di essere cancerogeno, di interferire a livello ormonale, di creare problemi ai reni, di abbassare il testosterone nell’uomo, di danneggiare le informazioni genetiche a livello cellulare, e anche di provocare la moria delle api. In Europa, ne è stata concessa l’autorizzazione per i prossimi 5 anni. La Francia ne ha vietato la vendita ai privati, l’Olanda prevede di bandirlo entro il 2025.

“Le campagne di criminalizzazione dell’agricoltura chimica sono pericolose. Non si può pensare a una agricoltura senza pesticidi. E le molecole che vengono usate sono tutte entro i limiti di legge. Il glifosato per esempio è un prodotto con un profilo tossicologico bassissimo. Mentre il rame, usato nel biologico, è più tossico”, sottolinea Donatello Sandroni, giornalista del settore agricoltura con un dottorato in eco tossicologia, un altro firmatario del documento.

Che dobbiamo fare? A chi credere? Ma il biologico è buono o no?

Io sinceramente non so più a chi credere, spero solo che chi legifera, lo faccia con una mano sul cuore e non sul portafogli, e che pensi più al futuro dei nostri figli e nipoti che non al proprio.

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22 pensieri riguardo “Se famo du spaghi

  1. Ah, tra le mode critico anche quella di essere per partito preso contro gli OGM. Primo perché da quando l’uomo coltiva ha sempre fatto modifiche genetiche alle colture e ciò che cambiano sono le tecniche ed i tempi con cui di ottiene una nuova varietà. Unico punto su cui non transigo è semmai sul fatto che le modifiche genetiche per legge dovrebbero essere coperte da una licenza tipo quella dei software open source dove tutti possono usarli, modificarli, distribuirli e ciò è garanzia di trasparenza e sicurezza, cosa che non è possibile ottenere se il progetto è chiuso agli sguardi degli altri. Ma dire che OGM è pericoloso a prescindere è una moda ed anche una stronzata!

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      1. Purtroppo anche in questo tanti danni li fanno sti cosidetti influencer che su internet ed in tv spacciano per verità assolute cose che non stanno ne in cielo ne in terra e a cui milioni di persone credono. Che poi mi fanno ridere…spesso hai un campo normale ed a fianco un campo bio…la pioggia (acida) è la stessa…l’aria inquinata è la stessa…le falde acquifere sono le stesse…le api e gli insetti impollinatori sono gli stessi…ma di che stiamo a parlare! 😀

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  2. Mio marito, quando sentiva la parola “biologico” vedeva nero e lui di agricoltura se ne intendeva visto che aveva prima studiato e poi lavorato in quel settore.
    La mia esperienza, sono figlia e nipote di contadini, è che quando si parla di biologico o biodinamico, lo si può fare, forse, solo per i piccoli orti per il consumo personale.
    Per esempio: noi, per concimare il nostro orto usavamo il letame, lo stallatico maturo regalatoci da contadini amici, era però inevitabile poi integrare con concimi sintetici adatti al terreno del nostro orto. Per gli alberi da frutto, se vuoi poi mangiare un po’ di frutta, si devono fare trattamenti antifungini, rinforzanti, antiafidi…..ecc. tenendo poi presente che una pianta da frutto dà abbondanza di frutti un anno su tre, il che va bene se le tue piante servono solo per la famiglia, ma se devi produrre per vendere, devi avere una produzione costante, quindi devi fare trattamenti intensivi e sostituire gli alberi ogni dieci anni circa.
    Il mio orto-giardino è circondato da case su due lati e da strade di traffico sugli altri due, posso fare tutti i trattamenti naturali che voglio, ma non posso impedire che le emissioni e le esalazioni del circondario vengano assorbite dalle foglie durante la fotosintesi. Gli ortaggi dovrebbero anche essere coltivati a rotazione, un esempio è quello dei meloni che sullo stesso terreno producono frutti solo ogni venti/trent’anni. Poi c’è l’aberrazione delle monocolture intensive che non seguono i cicli delle esigenze dei terreni, ma quello delle mode e dei profitti e su ciò ci sarebbe da prendersela con le multinazionali che hanno imposto le loro regole produttive in molti paesi in via di sviluppo, distruggendo le colture locali.
    Per quanto riguarda poi noi consumatori, mi diverte l’idea di certa gente che, non avendo mai vissuto, lavorato e neppure visto, ciò che accade in una fattoria, diventa seguace di tutte le mode possibili ed immaginabili decantate dalla pubblicità i cui scopi sono prevedibili.
    Basterebbe che noi ci accontentassimo di mangiare di meno, che potessimo acquistare cibi locali e di stagione, ma la grande distribuzione ha altre esigenze e noi, spesso, troppo spesso, non ci opponiamo a questi cambiamenti, anzi, li accettiamo e ne diventiamo schiavi.

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    1. Standing ovation e soprattutto concordo sul fatto che c’è gente che in campagna non ha mai messo piede e parla a sproposito. Io vivo in città e faccio un lavoro atipico ma ogni tanto do una mano al padre di mio cognato(il n mio non va più) in campagna.La settimana scorsa ad esempio potatura ulivi, raccolta legna con separazione tra legna da tenere e rami da bruciare…sotto al sole, terreno in pendenza…una fatica immane…poi prendi un volantino e vedi olio in vendita a 2€…ma che olio potrà mai essere quello…come fai con 2€ a ripagare la fatica che c’è dietro? E niente…personalmente diffido da queste nuove mode ma diffido anche dalle multinazionali perché so che quando è solo il profitto ad essere importante è anche storicamente avvenuto che i politici facciano leggi compiacenti e chi deve controllare non lo faccia.I disastri poi si vedono anni e anni dopo quando ormai nessuno più sarà responsabile.
      Per rispondere all’articolo io direi che la soluzione forse sta nel mezzo ma sicuramente andrebbe rivisto l’attuale modello di vita dove non necessariamente serve produrre di più visto anche che molto di quel di più viene buttato!

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        1. Esatto. Noi non lo vendiamo, ce lo dividiamo tra il padrone della terra e le famiglie che fanno la raccolta e la cura delle piante ma i costi se dovessimo venderlo andrebbero su quella cifra. Sotto è inevitabilmente robaccia oppure significa che stai usando gente in schiavitù…

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      1. Guarda la Ferrero che per la Nutella, ha sostituito i grassi naturali delle nocciole e del burro di cacao con l’olio di palma che costa meno, ma che ha modificato l’agricoltura dei luoghi ove queste palme si producono, costringendo a una monocoltura, impoverendo quei territori e quelle popolazioni sono convinte di guadagnare oggi, ma fra una ventina d’anni avranno problemi peggio dei nostri. Di contro, la Novi, per la propria crema spalmabile, ha aumentato il dosaggio delle nocciole, portandolo al 45% ottenendo una crema ottima, ma, nel contempo, nel Lazio, in alcune zone, visto che le nocciole sono richieste e danno un buon reddito, si stanno coltivando molti noccioleti al posto di altre varietà di prodotti e anche lì si arriva alla monocoltura che darà problemi ambientali vari.
        La globalizzazione e la diffusione epidemica di molte idee, non tutte salutare e spesso pseudoscientifiche ma che di scienza hanno solo l’empirismo, stanno distruggendo quella conoscenza che ha migliorato l’agricoltura secolo dopo secolo. Una grande botta la dà anche la grande distribuzione, dove le catene di super e ipermercati, sono in mano a gruppi di investitori i cui interessi vanno sicuramente al di là del buon senso comune.

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