Tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano. Ci si imbatte in numeri primi sempre più isolati, smarriti in quello spazio silenzioso e cadenzato fatto solo di cifre e si avverte il presentimento angosciante che le coppie incontrate fino a lì fossero un fatto accidentale, che il vero destino sia quello di rimanere soli. Poi, proprio quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatte in altri due gemelli, avvinghiati stretti l’uno all’altro. Tra i matematici è convinzione comune che per quanto si possa andare avanti, ve ne saranno sempre altri due, anche se nessuno può dire dove, finché non li si scopre. (Paolo Giordano – La solitudine dei numeri primi)
“La solitudine dei numeri primi” è il primo romanzo di Paolo Giordano. Edito da Mondadori, ha ricevuto i Premi Strega e Campiello opera prima 2008. Romanzo di formazione, narra le vite parallele di Alice e Mattia attraverso le vicende spesso dolorose che ne segnano l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. Prima che me lo chiediate, il libro non parla quasi mai di matematica (tant’è vero che il titolo originale era “Dentro e fuori dall’acqua”, cambiato nell’attuale titolo dall’editor della Mondadori, lo scrittore Antonio Franchini), tranne nella citazione che ho scritto all’inizio di questo articolo.
In matematica, un numero primo è un numero intero positivo che abbia esattamente due divisori. Analogamente si può definire come un numero naturale maggiore di 1 che sia divisibile solamente per 1 e per sé stesso. I numeri primi sono oggetto di studio fin dall’antichità: i primi risultati risalgono infatti agli antichi Greci, e in particolare agli “Elementi” di Euclide, scritti attorno al 300 a.C. Ciononostante, numerose congetture che li riguardano non sono state ancora dimostrate; tra le più note vi sono l’ipotesi di Riemann, la congettura di Goldbach e quella dei primi gemelli, indimostrate a tutt’oggi, a più di un secolo dalla loro formulazione. Essi sono rilevanti anche in molti altri ambiti della matematica pura, come ad esempio l’algebra o la geometria; recentemente hanno assunto un’importanza cruciale anche nella matematica applicata, e in particolare nella crittografia, con applicazioni pratiche nell’informatica e nella sicurezza delle transazioni di denaro via internet.
Ma prima di parlare dei matematici che se ne sono occupati mi piacerebbe raccontare una storia…
Cambridge, Inghilterra, 1914. Un giovane docente di matematica, una delle menti più brillanti del paese, bello, determinato ed estremamente razionale, un’influenza della professione e della materia che insegna; gay e snob, vive in un ambiente privilegiato rappresentato dalla città universitaria, enclave tollerante e raffinata nell’Inghilterra del tempo. A migliaia di chilometri di distanza vive un piccolo e sconosciuto contabile che lavora nel porto di Madras, poverissimo, un bramino estremamente credente. È anche un autodidatta che ha sviluppato, in un’originale notazione, teoremi matematici inediti, dettati, come sostiene egli stesso, dalla dea Namagiri. La fatalità e il caso portano le vite dei due a intrecciarsi: l’oscuro contabile, infatti, ha trovato, probabilmente, una strada per risolvere l’enigma su cui il brillante studioso inglese si scervella da anni. È una storia vera, basata su due vite reali e sul loro incontro. Godfrey Harold Hardy e Ramanujan Srinivasa Aiyangar, così si chiamavano i due, sono realmente esistiti e si sono realmente incontrati, a Cambridge, dove hanno collaborato alla famosa e mai risolta ipotesi dei numeri primi di Riemann.
Godfrey Harold Hardy (Cranleigh, 7 febbraio 1877 – Cambridge, 1º dicembre 1947) è stato un matematico britannico. Fellow della Royal Society, è noto per i suoi contributi in teoria dei numeri e analisi matematica. Fra i non appartenenti alla comunità matematica è noto per il suo “Apologia di un matematico”, un saggio del 1940 sull’estetica della matematica. L’apologia è spesso considerata una delle migliori introspezioni nella mente di un matematico ed è una delle più riuscite descrizioni di cosa significhi essere un artista creativo. Un curioso aneddoto è legato a questo libro: Hardy tentò il suicidio, si salvò e fu convinto da Charles Percy Snow a scrivere l’apologia. Pochi anni dopo la pubblicazione ritentò il suicidio e quella seconda volta gli fu fatale. Hardy riconobbe quasi immediatamente lo straordinario talento naturale di Ramanujan e i due divennero stretti collaboratori.
Srinivasa Aiyangar Ramanujan (Erode, 22 dicembre 1887 – Chennai, 26 aprile 1920) è stato un matematico indiano. Bambino prodigio, imparò la matematica in gran parte da autodidatta. Frequentemente le sue formule furono enunciate senza dimostrazione e solo in seguito si rivelarono corrette. I suoi risultati hanno ispirato un gran numero di ricerche matematiche successive. Nel 1997 fu lanciato il Ramanujan Journal per la pubblicazione di lavori “in aree della matematica influenzate da Ramanujan”. Nel 1913, appunto, mandò una lettera a tre professori di Cambridge: H. F. Baker, E. W. Hobson e G. H. Hardy, includendovi una lunga lista di teoremi di una complessità mai vista, che si dichiarò in grado di dimostrare. Solo Hardy, membro del Trinity College di Cambridge in Inghilterra, notò il genio dei teoremi di Ramanujan. Gli altri due invece non diedero nemmeno una risposta.
Perché vi parlo di questi due? Perché insieme studiarono il “teorema dei numeri primi” di Riemann e “l’ipotesi di Riemann”. In teoria dei numeri analitica, l’ipotesi di Riemann è una congettura sulla distribuzione degli zeri non banali della funzione zeta di Riemann (e non approfondisco oltre per non annoiarvi troppo). La congettura fu formulata per la prima volta nel 1859 da Bernhard Riemann, matematico tedesco. Considerata il più importante problema aperto della matematica, è uno dei ventitré problemi di Hilbert e uno dei sette Millennium Problems, per la soluzione di ciascuno dei quali il Clay Mathematics Institute ha offerto un premio da un milione di dollari. Già questa potrebbe essere una motivazione valida. Risolvete uno di questi problemi e non dovrete più lavorare in vita vostra…
Un altro motivo per cui sto scrivendo è che voglio parlare di topologia, che non è lo studio del linguaggio dei topi, ma lo studio dei luoghi (dal greco τόπος, tópos, “luogo”, e λόγος, lógos, “studio”) e dell’uomo che l’ha formalizzata. La topologia è anche lo studio delle proprietà delle figure e delle forme che non cambiano quando viene effettuata una deformazione senza “strappi”, “sovrapposizioni” o “incollature”. È una delle più importanti branche della matematica moderna. Concetti fondamentali come convergenza, limite, continuità, connessione o compattezza trovano nella topologia la loro migliore formalizzazione. Si basa essenzialmente sui concetti di spazio topologico, funzione continua e omeomorfismo. Col termine topologia si indica anche la collezione di aperti che definisce uno spazio topologico. Per esempio un cubo e una sfera sono oggetti topologicamente equivalenti (cioè omeomorfi), perché possono essere deformati l’uno nell’altro senza ricorrere ad alcuna incollatura, strappo o sovrapposizione; una sfera e un toro invece non lo sono, perché il toro contiene un “buco” che non può essere eliminato da una deformazione. E uno dei geni matematici che ha dato un grande contributo alla topologia è stato Eulero, studiato anche da Hardy e Ramanujan ed anche lui autore di uno dei teoremi irrisolti (Costante di Eulero-Mascheroni).
Leonhard Euler, conosciuto dalle nostre parti con il semplice cognome italianizzato Eulero, nacque a Basilea in Svizzera il 15 aprile del 1707. Il padre era un pastore protestante ed era amico di Johann Bernoulli, già all’epoca uno dei più famosi matematici di tutta Europa, e che avrebbe avuto una notevole influenza sulla formazione scientifica di Eulero. Ad appena tredici anni, Eulero entrò all’università di Basilea, dove si laureò in filosofia. Negli stessi anni seguì lezioni di matematica da Bernoulli, che era rimasto molto colpito dalle grandi capacità del suo allievo.
Quando era ventenne Eulero si trasferì a San Pietroburgo, sempre grazie a un giro di conoscenze di Bernoulli, dove continuò a occuparsi di matematica presso l’Accademia Imperiale delle scienze. Imparò rapidamente il russo, si sposò e il suo nome iniziò a circolare molto anche oltre i confini della Russia. Stanco della grande instabilità politica e sociale nel paese, nel 1741 accettò la proposta di Federico il Grande di Prussia per un posto presso l’Accademia di Berlino. Il periodo berlinese fu uno dei suoi più prolifici: rimase in città per quasi venticinque anni in cui pubblicò 380 articoli e i suoi due lavori di ricerca più importanti, la “Introductio in analysin infinitorum” (1748) e la “Institutiones calculi differentialis” (1765).
In quegli anni dovette fare i conti con diversi problemi. Eulero era un’ottima risorsa per l’Accademia, ma non si poteva dire altrettanto per la sua presenza a corte. Era un uomo dai modi semplici e poco raffinati, cosa non gradita dal re e che determinò un suo allontanamento da Berlino. A metà degli anni Trenta, Eulero ebbe una forte febbre cerebrale e in seguito divenne quasi completamente cieco dall’occhio destro. Pare che Federico II si riferisse a lui chiamandolo “il mio ciclope”. Un problema di cataratta all’occhio sinistro fece il resto, peggiorando ulteriormente la vista di Eulero. Le difficoltà a leggere erano compensate, almeno in parte, dalla sua formidabile memoria e da Nicolaus Fuss, che divenne suo fidato assistente.
Quando le cose in Russia si stabilizzarono, anche grazie all’avvento di Caterina la Grande, Eulero accettò di tornare a San Pietroburgo. Era il 1766 e quello sarebbe stato l’ultimo grande trasferimento del matematico. Sopravvisse a un incendio nel proprio studio nei primi anni Settanta, che distrusse buona parte dei propri appunti. Nel 1773 morì la moglie Katharina, dopo circa quaranta anni di matrimonio. Il 7 settembre 1783, Eulero iniziò la sua giornata come al solito, con una lezione di matematica a uno dei suoi tanti nipoti e proseguì discutendo con alcuni amici le novità del giorno, gli esperimenti dei fratelli Montgolfier e la scoperta di Urano. Alle cinque del pomeriggio, colpito da emorragia cerebrale, ebbe appena il tempo di mormorare “sto morendo” prima di perdere coscienza. Poche ore dopo, come disse il marchese di Condorcet nell’orazione funebre, “cessò di calcolare e di vivere”.
In geometria si parla ancora oggi: del cerchio, della retta e dei punti di Eulero in relazione ai triangoli; della relazione di Eulero sul cerchio circoscritto a un triangolo; del criterio di Eulero per la teoria dei numeri; degli angoli di Eulero nella meccanica. E ancora della costante di Eulero-Mascheroni nell’analisi matematica e del diagramma Eulero-Venn nella logica. Un’altra relazione di Eulero è contemplata nelle teorie algebriche, così come il metodo di Eulero per risolvere le equazioni di quarto grado e quello per il calcolo differenziale. Eulero diede importantissimi contribuiti anche alla fisica e all’astronomia. Con i suoi calcoli e utilizzando le proprie teorie, per esempio, determinò le orbite di numerose comete. Eulero pubblicò quasi 900 lavori sulle scienze matematiche e formalizzò la “grammatica” dei simboli in matematica, utilizzati ancora oggi: introdusse per esempio l’utilizzo del simbolo Σ per la sommatoria, di f(x) per indicare le funzioni e fu tra i principali utilizzatori della lettera π per indicare il pi greco.
Uno dei più noti contributi di Eulero alla matematica e, come accennavo, alla topologia, è legato ad un altro grande della storia, Immanuel Kant. La città di Könisberg, celebre per aver dato i natali al filosofo, attraversata dal fiume Pregel, aveva sette ponti che collegavano fra loro i vari quartieri. Erano in molti a chiedersi se fosse possibile attraversare tutti e sette i ponti ritornando alla fine al punto di partenza, dopo essere passati una volta sola su ogni ponte. Il problema, al tempo di Kant, aveva attirato l’attenzione dei più celebri matematici, i quali avevano tentato invano di trovare una soluzione. Anche Eulero non riuscì a risolvere il problema, o meglio dimostrò che era impossibile, cioè che non esisteva una soluzione. Per prima cosa, egli tracciò un grafico della situazione: trasformò le quattro parti della città, collegate dai ponti, in punti e i sette ponti in linee di collegamento fra questi punti. Eulero costruì in tal modo quello che oggi si chiama un grafo, con nodi, i punti, e gli archi, cioè le linee, e allargò poi la sua indagine ai problemi di percorso, in generale.
Egli stabilì che un grafo composto soltanto da nodi pari, collegato cioè a un numero pari di archi, è sempre percorribile e che si può ritornare al punto di partenza, senza sovrapposizioni di percorso. Se un grafo contiene nodi pari e soltanto due nodi dispari è ancora percorribile, ma non si può più ritornare al punto di partenza. Se contiene invece più di due nodi dispari, non è percorribile, senza sovrapposizioni di percorso. La passeggiata sui ponti di Könisberg è di quest’ultimo tipo, porta a un grafo composto da quattro nodi dispari, e quindi non ha soluzione. Quello che sembrava un piccolo rompicapo senza importanza, nelle mani di Eulero diventò un grande problema matematico, punto di partenza della teoria dei grafi e della topologia.
Eulero sapeva giocare con i numeri ed è proprio nella teoria dei numeri che ottenne risultati straordinari, tanto numerosi che è impossibile per noi ricordarli tutti. Uno dei risultati più brillanti nello studio delle serie infinite è il calcolo dei reciproci dei quadrati dei numeri interi, un problema che molti matematici avevano tentato invano di risolvere. Quando Jean Bernoulli seppe del successo di Eulero, commentò: “E così viene soddisfatto l’ardente desiderio di mio fratello che, rendendosi conto che la ricerca di tale somma era più difficile di quanto si sarebbe potuto pensare, confessava apertamente che tutti i suoi ferventi sforzi erano stati vani”. Lo affascinavano i numeri primi e la loro misteriosa ripartizione nell’insieme dei numeri naturali: “Un mistero – diceva – nel quale lo spirito umano non saprà mai penetrare”. E che ancora oggi non ha una soluzione.
Il grande merito di Eulero è stato quello di aver saputo sistemare e collegare campi ai suoi tempi separati della matematica, utilizzando in modo geniale le risorse della geometria, dell’algebra e dell’analisi, per arrivare a risultati straordinari. Già ai suoi tempi godeva di un enorme prestigio, testimoniato da una celebre frase di Laplace: “Leggete Eulero. Leggete Eulero. Egli è il maestro di tutti noi”. E’ stato probabilmente il matematico più prolifico: la sua opera omnia comprende settantaquattro volumi in-quarto, dedicati non solo alla matematica, ma anche alla meccanica, all’astronomia e ancora all’ottica, all’acustica, alla termologia, all’elettricità e al magnetismo. Per cinquant’anni, dopo la sua morte, l’Accademia di Pietroburgo continuò a pubblicare suoi lavori inediti. Alcune delle sue opere rimangono fondamentali, come la “Meccanica”, la prima opera nella quale sia sistematicamente applicata l’analisi alla meccanica e la “Introductio in analysin infinitorum”, l’opera con la quale, possiamo dire, inizia l’analisi matematica come studio, secondo Eulero, delle funzioni. Si può trarre l’insegnamento che non servono gli occhi per vedere lontano…
Oggi hai trattato molti temi che, per pura passione, già conoscevo.
Leggo spesso, e per diletto, libri di matematica, anche matematica ludica, e Riemann, Ramanujan e Hardy non mi sono ignoti, così come i loro lavori e scoperte in ambito matematico.
Ti riconosco una capacità divulgativa/espositiva molto migliore della mia, complimenti.
E grazie per alcuni aneddoti, specialmente quelli su Eulero che non conoscevo.
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Grazie! In effetti mentre scrivevo pensavo avresti apprezzato, anche se sono stato molto superficiale, volontariamente, sugli argomenti tecnici. Penso che gli aneddoti sulle persone note a volte siano più belli del motivo per cui lo sono (noti). Altrimenti scriverei un manuale, cosa che non mi stimolerebbe molto…
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